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Dai ricordi di Tullio Fabbri

L’incontro è del tutto casuale, nello spiazzo antistante la chiesa di Pantano. Il personaggio appare subito interessante con il suo aspetto di solida antica quercia e con un prezioso bagaglio di ricordi accumulati in tanti anni vissuti in questo territorio, testimone di avvenimenti importanti e di episodi di vita quotidiana che la storia raramente registra.

La conversazione ha inizio in modo spontaneo, favorita dalla schietta affabilità dell’interlocutore e dalla generosa disponibilità a raccontare ciò che ricorda. Il suo nome è Tullio Fabbri e risiede a Pantano, dove è nato più di ottanta anni fa e dove ha sempre vissuto. Lo stimolo è grande e non sappiamo resistere alla tentazione di chiedergli una vera e propria intervista, alla quale egli acconsente di buon grado. Lo scopo è quello di non disperdere una delle ormai rare testimonianze che ci consentono di mantenere uno stretto legame con il nostro passato. Ecco i risultati:

Il primo ricordo riguarda la croce che fino a qualche decina di anni fa era presente in cima alla parete rocciosa denominata “lo scoglio del Pantano” sulle pendici nord del Monte Tezio. Tullio inizia il suo racconto: “Era stata collocata 150 – 160 anni fà in memoria di un uomo di nome Anselmo che arrampicatosi sugli scogli per raccogliere negli anfratti il miele depositato dalle api selvatiche, scivolò e cadendo perse la vita. Negli anni trenta, essendosi deteriorata, la croce fu sostituita da mio zio Guerriero e li rimase fino agli anni cinquanta quando è scomparsa definitivamente”.

I ricordi si accavallano ed ecco affiorarne un altro di grande interesse: “In cima allo scoglio del Pantano c’è un piccolo pianoro, una specie di terrazzo chiamato Piano dei corvi. Questi rapaci per alcuni anni furono catturati per essere immessi nella grande voliera allora esistente ai giardini del Pincetto di Perugia, uno dei luoghi all’epoca più frequentati dai perugini. Lo zio Guerriero, sorretto da altri uomini, si calava con delle corde per una ventina di metri lungo la parete rocciosa, fino a raggiungere le piccole cavità dove i corvi nidificavano, prelevando i piccoli ormai prossimi al volo. Questi venivano poi consegnati alle guardie venatorie per la successiva destinazione”.

Non può mancare il ricordo della festa dell’Ascensione che per anni ha richiamato sulla cima del Monte Tezio tantissima gente da tutti i versanti della montagna: “La ricorrenza religiosa si svolgeva al mattino a Pieve Petroia dove il Pievano dell’epoca, Don Oreste, celebrava la Messa; dopo la processione si saliva sul monte. Per anni, da ragazzo, io, Fausto, Ginetto, suo fratello,Quintilio, Boila del piano e altri amici, siamo andati su in cima per partecipare alla festa che si svolgeva sui prati fra il Monte Tezio e il Tezino. Alcuni portavano gli strumenti per suonare, perché si ballava anche; da La Bruna veniva Staccini, che aveva un piccolo negozio di generi alimentari e portava bibite e roba da mangiare. Naturalmente tutto veniva trasportato con i muli perché non esistevano altri mezzi in grado di raggiungere quei posti. Si radunava tanta gente, da Migiana, La Bruna, Antognolla, oltre che da Pantano, Maestrello, Colle Umberto ecc. Si trascorreva la giornata in allegria, qualche volta anche litigando. Poi questa tradizione si è persa perché noi, i giovani di allora, ci siamo invecchiati e le generazioni successive hanno avuto altri interessi ed altre attrattive che non una festa in cima al monte da raggiungere a piedi…. L’ultima volta che mi ricordo è stata nel 1946 o 47. In quella occasione un gruppo di amici di Pantano: io, mio fratello, Peppino, Gottardo, Benito, Milio Giovagnoni, salimmo in cima al monte una settimana prima dell’Ascensione con la scorta di viveri e bevande e ci trattenemmo fino al giorno della festa. Non avevamo le tende e per la notte ci arrangiavamo con delle coperte dormendo sotto le stelle. Ricordo che l’unico inconveniente erano i tanti fastidiosissimi ragni che di notte ci facevano visita, ma per il resto si stava veramente bene”.

Chiediamo a Tullio notizie sulla croce di ferro detta “della Pieve”, situata sulla sommità nord ovest del monte Tezio; ecco quanto ci racconta: “Mio zio Checco, che era nato nel 1872 ed è morto nel 1933, diceva che quando era ancora un bambino quella croce era stata rifatta in ferro, dopo la fine della guerra 1915 – 18, in sostituzione di quella precedente, in legno, di dimensioni più ridotte. Il nome “della Pieve” è derivato dal luogo dove fu costruita, appunto Pieve Petroia, ad opera dello zio Checco, di Baiocco e di altri di cui non ricordo i nomi. Da ragazzo, negli anni trenta, mi arrampicavo spesso su per il traliccio che era ancora scoperto; il rivestimento esterno in lamiera fu realizzato soltanto dopo l’ultima guerra mondiale”.

A questo punto, citato l’ultimo evento bellico, la memoria di Tullio torna alla caduta dei due aerei militari sul Monte Tezio: uno americano ed uno tedesco. “il primo fu quello tedesco, un aereo da trasporto caduto a pochi metri dalla croce della Pieve. Non si è mai saputo con esattezza quante furono le vittime, anche perché il comando tedesco inviò subito sul posto alcuni militari per il recupero delle salme. Quello americano, invece, era un bombardiere di ritorno da una missione sull’aereoporto di S. Egidio; cadde quasi sullo stesso punto del precedente ed uno dei motori, staccatosi dal resto dell’aereo, ruzzolò fino a Pieve Petroia, vicina alla casa di Ercolanelli. Un rappresentante del comando italiano venne subito a cercare gente disposta ad andare a recuperare i resti dei sei componenti l’equipaggio, dando istruzioni perché fossero seppelliti sul posto. Insieme ad altri amici resisi disponibili, portammo a termine questo pietoso incarico che in seguito ci costò una denuncia al comando americano perché qualcuno ci aveva accusato del tutto ingiustamente di esserci appropriati di alcuni effetti personali dei soldati morti. Mio zio Mimmo fu arrestato e io, Cosimino, Dolfino, Gino Pauselli, e Arcelli detto Buio, subimmo un processo a Padule, da parte del tribunale militare americano. Le salme furono riesumate e fu accertato che le accuse che ci erano state rivolte erano del tutto false poiché nulla era stato sottratto ai componenti l’equipaggio dell’aereo caduto. Così fummo assolti e addirittura il presidente del tribunale , un colonnello americano, si alzò al termine del processo ed andò a stringere la mano allo zio Mimmo, dicendogli di essersi reso conto di avere a che fare con dei galantuomini”.

Stimolati dal grande interesse che suscitano i ricordi di Tullio proviamo a chiedergli notizie sulla tomba etrusca detta “del faggeto” Ecco cosa ci dice: ” A Pantano la famiglia Fabbri, miei antenati, aveva una bottega da fabbro; fino dal 1822 cominciarono a fabbricare chiodi per scarpe, le cosidette “bullette”. Per questo ottennero un riconoscimento ufficiale consistente in un diploma, un brevetto da Cavaliere ed una medaglia d’oro. Per alimentare la forgia veniva usato carbone ricavato da piante di Erica di cui era ricca la zona collinare oltre il cimitero di Pantano, nei terreni di proprietà della famiglia Calderoni. Un giorno, mentre stavano preparando la piazzola dove accatastare i ceppi di legno da bruciare, improvvisamente si aprì una voragine nel terreno e uno dei fratelli finì in fondo a quella che poi risultò essere una tomba etrusca. Mio nonno Domenico uditi gli strilli corse in aiuto del figlio che con grande spavento risalì in superficie. Fu così che avvenne la scoperta della tomba che però era stata sicuramente già visitata in tempi passati in quanto all’interno fu trovata soltanto un’urna cineraria mancante del coperchio”.

A questo punto chiediamo a Tullio di parlarci del Monte Acuto e della chiesetta di Madonna della Costa. “All’incirca nel 1954 crollò il tetto di quella che era in passato costituiva un importante luogo di culto ed un punto di riferimento per la fede popolare. L’immagine della Madonna che era rimasta all’interno, fu successivamente recuperata per iniziativa dell’allora parroco di Pantano, Don Giuseppe, e di un gruppo di amici. In primo tempo fu portata nella chiesetta di S. Angelo, a Pian di Nese, dove subì due tentativi di furto sventati grazie alle porte blindate che io avevo installato. Allora fu deciso di portare l’immagine nella casa parrocchiale di Don Giuseppe, a Pantano. A questo punto, poiché i parroco di Montecorona ne aveva chiesto la restituzione, a deciderne le sorti fu chiamata una apposita commissione nominata dalla Curia perugina. Insieme a Don Giuseppe andammo a discutere la cosa in vescovato, io, Vito ed altre persone; Fu deciso che l’immagine fosse conservata presso la Curia, con l’intesa che ogni anno sarebbe stata ricondotta nel giorno della festa, alla chiesetta di S. Angelo”.

Vorremmo continuare, ma ci accorgiamo che si è fatto tardi; sono trascorse quasi due ore, piacevolissime, senza che ce ne rendessimo conto. Il modo che ha Tullio di rievocare i suoi ricordi ci ha immerso in un mondo ormai scomparso, quasi di fiaba, un mondo che racchiude le nostre origini: le nostre radici.

Grazie Tullio per averci permesso di scrutare nel diario della tua vita, arricchendo le nostre conoscenze e permettendoci di conservare e tramandare alle prossime generazioni un così prezioso bagaglio di storia di vita vissuta. PAOLO PASSERINI 13 maggio 2004.